CAPITOLO TRE
“Attenzione! Se parti dalla delega fai un bel tuffo nella merda”
Ora immagina di inserire domani un giovane collega neolaureato nel tuo studio e affidargli parte delle TUE attività con i TUOI pazienti…
Cosa pensi che succederebbe?
Te lo dico io, perderesti un bel po’ di pazienti. Senza alcun dubbio.
E se prima lo formassi per sei mei e poi gli affidassi parte delle tue attività con i pazienti… cosa succederebbe?
Esattamente la stessa cosa.
E se assumessi domani una ragazza di vent’anni e la mettessi in ufficio a parlare di sconti e nero con i tuoi pazienti come pensi andrebbero le cose?
Beh, credo tu sia d’accordo che anche qui sarebbe un disastro.
Il problema è che una persona con le tue competenze operative e comunicative semplicemente non viene a lavorare per te perché, se ha quelle competenze, vuol dire che ha già un attività super avviata che sia propria o di consulenza.
Per arrivare al minimo della decenza in un rapporto autonomo con i pazienti un professionista impiega circa 5 anni. Questo vuol dire che inserendo un giovane, per i primi 5 anni, disseminerebbe casini operativi e comunicativi in studio e questo tu non te lo puoi permettere.
Ed eccoci quindi al famoso cul de sac:
· Per avere le cose fatte bene devo farmele da solo
· I miei pazienti non accetterebbero di farsi curare da un altro
· I soldi li devo gestire io
· Gli altri farebbero un sacco di casini che poi io dovrei mettere a posto
Eppure io e Stefano abbiamo 50 persone che lavorano in esclusiva per noi. Circa 2000 ore a settimana di lavoro che noi due deleghiamo ad altri; e questi altri sono per lo più ragazze ventenni nel comparto assistenza/segreteria e professionisti neolaureati nel comparto clinico. Ma nonostante questo siamo considerati dal mercato uno studio di eccellenza e con prezzi alti (ad oggi tra i più alti della provincia).
Come è possibile?
La risposta in realtà è semplice ma richiede un’inversione di paradigma della quale non gioiranno i moralisti (che invito a smettere di leggere e a dedicarsi ad altri blog).
Noi non dobbiamo cercare persone competenti alle quali delegare i compiti dei quali ci siamo occupati in prima persona fino ad oggi, ma dobbiamo spacchettare questi compiti trasformandoli in procedure standardizzate a bassa complessità e poi assumere persone qualsiasi alle quali far eseguire meccanicamente (A CERVELLO SPENTO) queste procedure.
E qui sta la gran parte dello sforzo, del tempo impiegato e del sacrificio di cui parlavamo nel capitolo precedente. Trasformare la tua attività incasinata e disordinata (che funziona nelle tue mani ma non in quelle degli altri) in qualcosa di semplice, standardizzato e trasferibile all’ultimo arrivato, mantenendo nelle tue mani solo i passaggi ad alta complessità (fino a quando i giovani di oggi non saranno diventati esperti).
Ciò che non funziona quindi non è la delega in sé, ma la delega di casini disorganizzati che tu stesso non sapresti descrivere, perché ogni volta li fai in modo diverso. La delega di passaggi chiari e semplici funziona eccome.
Ripeto perché penso non sia chiaro a tutti: delega di passaggi semplici all’interno di procedure nel complesso più articolate.
Ma allora dovrei assumere dei burattini che sarebbero privi di ogni motivazione? No caro mio. Ti assicuro che il tuo lavorare senza procedure e senza standardizzazione (“a cazzo di cane” potrebbe dire qualcuno) non ha alcunché di motivante.
Le persone sono motivate quando riescono a portare a termine un compito in maniera completa ed ordinata diventando bravi e veloci nel farlo. Diventando ad un certo punto gli esperti in quel determinato compito e assumendone quindi il ruolo di responsabili.
Nel gennaio del 1998, quando ho compiuto 18 anni, due miei compagni di scuola che già lavoravano nei campi come braccianti da qualche tempo mi chiesero se volevo andare a lavorare presso lo stesso contadino.
Al tempo ero fisicamente una mezza sega, non avevo mai praticato sport e, a differenza dei miei due compagni, nei campi ero una mammoletta. Checché possa crederne chi non ha mai lavorato se non seduto con l’aria condizionata, lavorare nei campi agli ordini di un vero contadino è cosa tutt’altro che semplice.
La paga era di 7000 lire l’ora. Scoprii più tardi che, non essendo uno fisicamente tosto, ero stato chiamato solo perché compiendo gli anni a gennaio ero il primo 18enne del gruppo e, a differenza dei miei amici già impiegati, avrei potuto guidare il trattore.
Continuai con l’attività agricola per tutta l’università (e per il primo anno dopo la laurea) poiché non mi piaceva pesare economicamente sui miei genitori, che già mi pagavano gli studi. Nel frattempo, i miei due amici mollarono per intraprendere altre attività e io mi “specializzai” sempre di più nel piantare la piantine (“i piantini” li chiamavamo) di insalata nelle serre. Arrivavo al mattino presto e trovavo decine di cassette fuori di una serra con la terra fresata, dovevo fare i solchi col tallone, gettare le piantine alla giusta distanza e, infine, stando in ginocchio per 4/5 ore a cavalcioni del solco ricoprire il cubetto di torba che conteneva le radici sotto la terra.
Per quanto mi stessi laureando e quello fosse un lavoro estremamente umile, semplice e ripetitivo, alla fine della mattinata guardavo la serra con migliaia di piantine in file ordinate e provavo un grande senso di soddisfazione, rafforzato dal fatto che ormai ero indiscutibilmente considerato il migliore e il più veloce tra tutti i braccianti a “buttare giù i piantini”.
Non temere quindi per la motivazione e la realizzazione di chi lavora con te ma se vuoi essere un bravo maestro e un buon imprenditore impara a spacchettare le procedure in passaggi semplici che le persone possano seguire a cervello spento.
Nel prossimo capitolo vedremo come fare nell’ambito del nostro studio.