EMPATIA, DAUGHTER TEST E ALTRI PERICOLOSI ERRORI CULTURALI.

Per rispondere al alcuni dubbi di una collega condivido un passaggio del nostro libro “Da Zero all’ Impero”

 

Matteo è stato senza dubbio il mio migliore amico sia durante la scuola materna, sia durante le elementari. Mio fratello si chiama nello stesso modo non a caso. Credo fermamente che Matteo abbia avuto una discreta sfortuna durante l’infanzia e che questa sia derivata da un
grosso errore del sistema scolastico: la nostra maestra, dalla seconda alla quinta elementare, era contemporaneamente sua madre.
Per quanto i miei ricordi di infanzia siano molto frammentati, ricordo abbastanza bene le difficoltà della mia maestra che, pur tentando in ogni modo di avere un atteggiamento
imparziale, non riusciva, come è comprensibile che sia, ad annullare la protettività materna verso suo figlio.

Per quanto questo non abbia causato alcun problema particolare a noi compagni, sono certo che la maturazione preadolescenziale di Matteo, almeno per quanto attiene l’esperienza scolastica, sarebbe stata migliore in un setting meno… empatico!

Viviamo oggi un periodo in cui la parola empatia risuona a piena voce negli ambienti che si occupano di management e l’ho trovata esaltata spesso anche nei testi che trattano di
management odontoiatrico.

 

Uno dei maggiori difensori del concetto di empatia in ambito aziendale è oggi l’americano Simon Sinek, che per quanto da me stimato per altre geniali interpretazioni, non può non scatenare il mio disappunto quando urla negli auditorium “partite dall’empatia!”.
Non mi fraintendere, da cristiano cattolico quale sono, ritengo che l’empatia (che preferisco chiamare compassione) sia un valore fondamentale nella maggior parte delle interazioni
umane. Effettivamente, l’essere umano è fortemente incline all’empatia per la presenza nel suo sistema nervoso centrale di quelli che vengono chiamati neuroni specchio. Questi neuroni,
scoperti per caso alla fine del secolo scorso da un gruppo di ricerca italiano coordinato da Giacomo Rizzolati, ci portano ad avere sentimenti simili alle persone che
osserviamo.

Quando osserviamo un’altra persona eseguire un’azione, si attivano nel nostro cervello le zone deputate al controllo di quell’azione… quando vediamo un’altra persona (o animale)
soffrire, si attivano le zone deputate ai sentimenti di sofferenza… la stessa cosa per la gioia e così via. Se ci rifletti un secondo, questo ha un grande valore evolutivo
per l’uomo, che è un animale sociale. Il fatto di provare empatia per i membri del proprio gruppo, porta il soggetto a prendersi cura di loro durante i periodi difficili, compiendo in questo modo l’interesse del gruppo stesso, che è quello della sopravvivenza.

L’egoismo tipico dell’animale viene annullato o addolcito nell’uomo e nei primati dalla propensione all’empatia (causata dalla presenza di neuroni specchio), nell’interesse
della sopravvivenza del gruppo.

Come avviene per i bias cognitivi, dei quali abbiamo già parlato, non sempre i meccanismi che sono stati utili a livello evolutivo sono altrettanto utili in tutti i frangenti della società moderna.

Non mi addentrerò in aspetti come quello dell’educazione dei figli perché so che potrei scatenare reazioni di disappunto, causate dalla mia visione molto rigorosa e (a detta di alcuni) anacronistica, ma mi limiterò ad analizzare alcuni aspetti professionali.

Emanuele è un mio carissimo amico, mio testimone di nozze e padrino di battesimo di mio figlio Andrea. Nella vita ha scelto di fare il vigile del fuoco. A volte ci racconta di situazioni molto crude, come il recupero di persone impiccate, morte da giorni, o altre “maciullate” dentro automobili
accartocciate. La prima domanda di chi ascolta per la prima volta questi racconti è: “ma come fai a sopportare cose del genere?”. La risposta è: “le prime volte ci stai male, ma poi passa, ora non mi fanno più alcun effetto”.

Questa non si chiama abitudine, perché anche se vedessi tuo figlio soffrire violentemente 100 volte non ti ci abitueresti mai… Non si chiama neanche menefreghismo… Si chiama isolamento dell’affetto. Tecnicamente la psicologia lo descrive come uno dei meccanismi di difesa dell’Io.
Hai presente i poliziotti che scovano cadaveri di settimane, i medici legali che fanno le autopsie, gli operai che scuoiano conigli in catena di montaggio, gli assistenti sociali che lavorano in situazioni di degrado sempre diverse o i medici d’urgenza che intervengono su pazienti in procinto di morire, dovendo agire con freddezza assoluta nel tentativo di salvarli?
Ipotizza se tutte queste persone fossero empatiche nei confronti
di coloro con cui lavorano, esseri umani o animali, vivi o morti che siano.

Innanzi tutto non riuscirebbero a fare le scelte operative corrette, in secondo luogo vivrebbero una vita di merda, condizionata da ciò che vedono al lavoro. Dubito che riuscirebbero
a dormire di notte.

Che ti piaccia o no, in qualità di medici che attuano anche terapie chirurgiche, siamo assolutamente soggetti all’isolamento dell’affetto. Sicuramente “gli attacchi al nostro Io”
sono di grado minore rispetto agli esempi estremi che ti ho riportato, ma ciò non toglie che, se il nostro atteggiamento rimanesse empatico, non saremmo in grado di compiere le
scelte più corrette per i nostri pazienti e vivremmo in un costante stato di stress e di senso di colpa.

E la situazione in cui lavoriamo al meglio, in cui diamo il nostro top mondiale, si verifica proprio quando operiamo nella nostra sfera di confidenza, come se lavorassimo su un simulatore, senza nessuno che ci guarda!
Nel momento in cui intervengono delle motivazioni (esattamente come gli incentivi economici, dei quali abbiamo già parlato) come il “voler fare del nostro meglio” perché teniamo al nostro paziente o perché essendo un parente o un amico “non possiamo sbagliare”, le nostre performance si abbassano perché passiamo dalla modalità pilota automatico alla modalità controllo cosciente che ci porta a sbagliare.

Uno studio australiano ha dimostrato una performance nei tiri liberi dei giocatori professionisti di basket peggiore durante le partite rispetto agli allenamenti (Dandy et al 2001).

L’ansia di fare bene ci fa ottenere risultati peggiori. Sia nella pratica sia nelle decisioni.

 

Ecco perché il daughter test è la più grande cazzata che sia stata inventata quando viene utilizzato nei processi di decision making in medicina.

Mettiamo la salute del nostro paziente in mano ad un bias evolutivo che ci spinge ad agire in modo sconsiderato, non obiettivo e non corretto, nei confronti delle persone alle quali vogliamo bene. Delle persone con le quali siamo empatici. Non sarebbe stato meglio per Matteo avere una maestra, onesta, corretta e gentile (come ha avuto), ma non empatica?

Ricordo qualche anno fa al mare l’impressionante caduta di un bambino dalla scala di uno scivolo acquatico. Circa due metri di caduta libera con atterraggio sulla schiena.
Il bambino urlava ma non si muoveva. Come ben sai, le indicazioni in questo caso sono di non mobilizzare i paziente, in attesa dei soccorsi, e così stavano facendo il bagnino
ed un medico che si trovava lì vicino. Dopo poco arrivò la madre e, senza ascoltare le indicazioni che le venivano date, sì buttò urlando sul bambino e lo prese in braccio! Non so come si sia poi evoluta la situazione ma questo ti fa capire i brutti scherzi che gioca l’empatia nelle
situazioni critiche.

L’isolamento dell’affetto è un meccanismo automatico, quindi non ti preoccupare: in alcuni colleghi funzionerà meglio, e questi faranno i chirurghi, in altri funzionerà peggio, e questi faranno i conservatori coccoloni come Stefano.

Io la chiamo la crosta sul cuore™. Devi coltivare la tua crosta sul cuore™ soprattutto quando stai trattando un parente o un amico.
Raramente mi trovo in questa condizione, perché ho deciso consapevolmente di lavorare a 120 km da casa, ma quando questo avviene, immancabilmente sento l’impulso di cambiare i miei protocolli e le mie procedure normali, per ridurre al minimo l’invasività e cercare il compromesso.

Per fortuna, sono consapevole di quanto ti ho appena spiegato e combatto duramente contro l’empatia, per il bene di chi sto trattando: mi sforzo di rispettare i protocolli
e mantenere il pilota automatico.

Cercare di capire quali sono i sentimenti del paziente, cosa vuole e cosa pensa, rimane un aspetto fondamentale della nostra professione sia dal punto di vista medico, sia dal
punto di vista del marketing, ma tutto ciò va fatto in modo razionale, distaccato e privo di empatia.

Quest’ultima andrebbe infatti, come abbiamo detto, a corrompere la nostra capacità di giudizio e di azione.

Quando curi un soggetto qualsiasi, quindi, non devi sforzarti di pensare che sia tua figlia! Al contrario, quando curi tua figlia (cosa che ti sconsiglio) devi fare il massimo sforzo per pensare che sia una persona qualsiasi!

Ora sai cosa devi fare se hai occasione di incontrare il chirurgo che sta per operare un tuo parente stretto. Evitare nel modo più assoluto di dire “mi raccomando!” e di chiedere
di presenziare in sala operatoria. Statti zitto. Ma, se proprio non riesci a farlo, limitati ad un “fai quello che fai sempre!”.

Chi mi conosce sa che ho il progetto di liberarmi della mia crosta sul cuore™ appena andrò in pensione, ma fino ad allora ho il dovere morale di coltivarla, per il bene dei miei
pazienti.

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2 pensieri su “EMPATIA, DAUGHTER TEST E ALTRI PERICOLOSI ERRORI CULTURALI.

  1. pierluigi

    ho comperato il libro più di un mese fa……….posso sapere perchè ancora non l’ho ricevuto????? considerato che parte del costo erano le spese di spedizione??????

    1. Formazione odontoiatrica Autore dell'articolo

      Gentile Dr. Forestieri,
      ho richiesto il Tracking alla GLS relativo alla sua spedizione
      CN 180154446
      Se inserisce questo numero sul sito della GLS, riuscirà a verificare tutti i passaggi che ha effettuato il suo pacco.

      Rimango a disposizione.
      Cordiali saluti.
      Michela

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