Ieri sera ho visto un film con mia moglie.
Tratto da una storia vera, voleva essere una novella di buoni sentimenti ma in realtà si è rivelato un fenomenale trattato di marketing e, per quello che interessa a noi, un trattato sui tre più importanti segreti del marketing odontoiatrico.
Il film si chiama Nonnas e narra di un scapolo neworkese sulla sessantina (o almeno spero, perché non voglio pensare che abbia un’età prossima alla mia!!😱) che perde l’adoratissima mamma di origine italiana, a causa di un tumore, in età comunque molto avanzata.
Il loro rapporto era molto forte e i suoi ricordi di infanzia, narrati all’inizio del film, si concentrano sui piatti della tradizione che lei e sua nonna cucinavano per la famiglia. Joe, questo il nome del protagonista, rammeta soprattutto i pranzi fine settimana, quando tutta la famiglia allargata si riuniva in casa mangiando rumorosamente nell’oblio di tutti i problemi della vita, mentre cantava e ballava musiche siciliane.
Con la morte della madre, la vita di Joe perde significato rimanendo ancorata all’unico amico (fin dall’infanzia) e alla sua povera giovane moglie che, invece che mandarli a cagare come farebbe ogni donna sana di mente, aiuta il marito a compatire l’amico mammone.
A quindici minuti dall’inizio del film rimpiangevo le forchette a 220 volt che Liam Neeson pianta nelle cosce del mafioso albanese in Io vi troverò e le esplosioni sulle teste dei kajiu di Pacific Rim, ma mia moglie gongolava e chi sono io per imporre una sana violenza sui melliflui sentimentalismi che tanto le piacciono…. Per cui sono rimasto davanti allo schermo.
Procediamo con la storia.
Nei giorni successivi al lutto pensando costantemente e inspiegabilmente alla madre che, specifico, non è morta a 30 anni lasciando i figli piccoli, ma in veneranda età come è naturale che sia, Joe si reca al “mercato rionale” italiano di Staten Island per assaporare i profumi d’infanzia e nota, in una via larterale, i locali di un vecchio ristorante dismesso in vendita.
Non può fare a meno di cedere alla tentazione di acquistarlo e, indebitandosi fino al collo, ristrutturarlo per aprire un locale di cucina italiana in cui a cucinare saranno (attenzione, attenzione!!) nonne italo-americane, così che tutti i suoi clienti possano sperimentare le fantastiche sensazioni gastro-familiari che lui così vividamente ricorda dalla sua infanzia. Il tutto ovviamente, per onorare la rimpianta memoria della tanto amata mammina.
A parte, Joe, che tua madre non era una nonna proprio perché tu, essendo un mammone del cazzo non avevi né moglie né figli, la tua scelta farà capire ai miei lettori qual è il primo errore di chi si butta in una nuova impresa:
credere che la popolazione, che contiene i tuoi futuri potenziali clienti, possa essere interessata alla tua fantastica e incredibile idea. E soprattutto che sia disposta a spendere soldi guadagnati duramente per goderne.
Nel caso specifico di Joe, la sua illusione consisteva nel fatto che la popolazione newyorkese sarebbe stata disposta a pagare profumatamente per magiare teste di capretto (uno dei piatti orgogliosamente preparati da sua zia🤢🤢🤢) chiamate, nel menu del nuovo ristorante, “la capuzzella”.
Iper-entusiasta della sua idea Joe apre, appena riesce ad ottenere i permessi, semplicemente girando la chiave della porta e invertendo l’insegna appesa al vetro dell’ingresso. La scritta CLOSE diventa OPEN ma, guarda un po’, la prima sera non entra nessuno, se non il suo migliore amico e la povera moglie.
Nelle settimane successive nessuno si presenta nel locale e, come potrai immaginare, (il film, raccontando una storia vera e non puttanate da generazione Z, è molto realistico su questo punto), il progetto di Joe fallisce miseramente. I venditori ambulanti di Staten Island lo boicottano perché abita in altre zone di New York e arriva tutti i giorni col traghetto, nessuno fuori dal quartiere sa della sua esistenza e nessuno, a New York, agognava l’arrivo di un posto dove mangiare cervello di capretto.
Dopo il primo mese ad incasso zero e varie richieste di credito bancario Joe è costretto a prendere la sofferta decisione di chiudere. Attenzione, nella sua testa il problema non è che ha buttato 400mila dollari direttamente nel cesso, ma che ha deluso la madre (morta)!!!
Ma ecco che succedono tre cose che salvano la situazione. Joe decide di fare quello che semplicemente avrebbe dovuto fare all’atto dell’apertura: offre una cena a tutti quelli che conosce. Capirai bene che l’offerta a condizioni di vantaggio del tuo prodotto a tutti quelli che riesci a raggiungere non dovrebbe essere considerato come atto di addio quando ormai sei fallito, ma come necessario investimento di marketing quando hai deciso di partire.
La testa di capretto fa schifo esattamente come il vino (uva marcia), il tartufo (scoreggia solidificata), la Coca Cola (falla bere a un bambino di 2 anni dopo il gelato al fior di latte che si sta scorpacciando se non ci credi), il durian (scoreggia solidificata alla seconda). Però differentemente dalla testa di capretto, gli altri prodotti citati si sono guadagnati, nella testa del consumatore, una posizione tale per cui spesso (SEMPRE per la Coca Cola) questo è disposto a spendere del denaro (a volte tanto denaro) per introdurli nella propria bocca e deglutirli.
La differenza tra la testa di capretto della zia di Joe e il vino, tartufi, il durian e la Coca Cola sta proprio nel marketing e, l’assenza totale di una strategia di marketing, è ciò che in prima battuta ha fatto fallire il ristorante italiano nel film.
La festa di addio organizzata da Joe però ha attivato il primo segreto del marketing:
Fai spere a tutte le persone possibili che esisti e che il tuo prodotto, che può risolvere il loro problema o soddisfare il loro desiderio, è disponibile.
Joe, come la maggior parte dei dentisti, questo non lo aveva fatto e si era limitato ad aprire pensando che le cose funzionassero da sola. Per questo motivo il dentista medio italiano fattura meno di 200.000 euro l’anno mentre la nostra clinica arriva quasi a otto milioni. Se fai le debite proporzioni è un po’ come vedere il ristorante vuoto di Joe.
Pochi giorni prima della cena di addio, Joe comunica alle sue nonne/cuoche la decisione di chiudere e una di loro, Antonella, originaria di Bologna ma da sempre residente a Staten Island si reca incazzata nera al mercato a prendere a borsate uno dei venditori ambulanti che più avevano remato contro il ristorante. Gli dice urlando che è un gran pezzo di merda perché in realtà Joe è un brav’uomo e fa del bene a loro, nonne della zona.
Non si sa se per le parole di Antonella o se per le sue borsate in testa, l’ambulante si ravvede e si presenta alla cena d’addio provando con mano la reale qualità delle intenzioni e del prodotto di Joe.
Il gesto di nonna Antonella rappresenta il secondo segreto del marketing:
diventa familiare e affidabile per la gente del territorio (qualunque sia quello in cui risiede il tuo mercato potenziale).
Se la gente che deve acquistare da te ti riconosce come estraneo e diverso sei fottuto, non hai alcuna speranza di successo. Alle persone piace la gente familiare e uguale a loro, mentre diffidano da chi è diverso (sotto qualunque aspetto).
Prima di introdurre il terzo segreto bisogna ammettere che Joe qualcosa di buono aveva provato a farlo. Si era recato dal direttore di una rivista gastronomica (che per settimane aveva rimbalzato le sue mail) per chiedere una recensione al suo ristorante. Il direttore lo aveva cacciato in malo modo ma aveva poi assaggiato alcune polpette lasciate lì da Joe e, probabilmente affascinato dal piatto italiano, aveva inviato una sua giornalista in incognito alla cena di addio.
La giornalista, effettivamente affascinata dall’esperienza culinaria condita dalla condivisione su tavoloni in legno tipo festa della porchetta, aveva fatto uscire un’ottima recensione sul giornale per cui lavorava dando il terzo calcetto nel culo all’avviamento del locale.
Sì perché il terzo segreto è proprio quello di
aumentale la tua autorità facendo in modo che i media parlino di te.
Sarebbe bello ora spiegarti come applicare questi segreti al tuo studio dentistico ma penso che questo articolo sia già diventato un po’ troppo lungo. Cercherò di farlo nei prossimi giorni raccontandoti cosa facciamo noi per avviare i nostri nuovi studi e che penso funzioni visto che lo studio di Saluzzo, l’ultimo che abbiamo inaugurato, ha fatturato più di un milione e duecentomila euro il primo anno senza la presenza all’interno di Stefano e mia.
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A presto, Federico.