Sono appena tornato da un bellissimo viaggio in Tanzania e ho deciso di scrivere questo articolo per cementare, nero su bianco quello che sicuramente sarà il titolo del mio prossimo libro, se deciderò di scriverne uno.
Ideai il titolo “DA ZERO ALL’IMPERO” qualche anno prima di scrivere il libro con Stefano. Forse tra qualche anno sarà il momento di scrivere un nuovo libro di management odontoiatrico intitolato “SPEGNI ‘STO CA**O DI CERVELLO” chi lo sa… vedremo!
Quando arrivi in Tanzania la parola swahili che sentirai immediatamente e prima di qualunque altra è Jambo. Se tu giri per Torino o Milano nessuno ti prenderà in considerazione se non, forse(!!), un negoziante quando entri nel suo negozio, in Tanzania (e sicuramente in altre parti dell’Africa che io non conosco) invece sentirai rivolgerti dei “jambo”, che significa ciao/buongiorno, in continuazione.
La seconda espressione più frequente che sentirai però sarà Hakuna Matata. Sì, proprio come nella canzone che cantano Timon e Pumba nel cartone animato “Il re leone”.
La Disney ha dato un’interpretazione sicuramente estrema del concetto racchiuso dentro queste due parole: “senza pensieri, la tua vita sarà, chi vorrà vivrà in libertà…”
Sulle note di questa canzone il suricato e il facocero del cartone insegnano al piccolo leone Simba che può tranquillamente fottersene dei problemi del suo branco e del senso di colpa per aver causato la morte di suo padre e mettersi a mangiare larve e scarafaggi per non avere neanche il pensiero di dover cacciare… “la bella vita senza regole e senza responsabilità” la definisce Timon (il suricato).
In effetti Hakuna Matata significa proprio “Senza Pensieri” ed è una sorta di mantra che i tanzaniani ripetono spessissimo quando parlano con qualcun altro.
Sicuramente, senza arrivare all’estremizzazione con aspetti chiaramente negativi che ne danno gli eredi di Walt Disney (ormai votati, nelle ultime produzioni, ad un surreale buonismo inclusivo che mi fa vomitare), dovrai ammettere con me che una vita serena, caratterizzata in gran parte dall’assenza di pensieri stressanti, sia un bell’obiettivo al quale tutti dovremmo puntare.
Soprattutto nel nostro mondo moderno in cui le patologie cardiovascolari, favorite da un connubio di condizioni di vita troppo confortevoli e stress psicologico troppo elevato, restano la principale causa di morte in Italia.
Non sarebbe quindi niente male adottare la filosofia promossa da Timon e Pumba. Il grosso problema a riguardo, a parte i pasti a base di larve e scarafaggi, è che noi regole e responsabilità ne abbiamo eccome nella nostra vita professionale e non possiamo certo sottrarcene. Tant’è che, oltre alla legge dello stato, dobbiamo sottostare ad un codice deontologico di 75 pagine che regola la nostra attività professionale nell’interesse del paziente.
I nostri pazienti meritano il meglio e di conseguenza ogni caso andrà attentamente valutato e tutti i passaggi terapeutici soppesati in ogni dettaglio, in modo che qualunque decisione sia presa al meglio per ogni singolo paziente… o almeno queste sono le sesquipedali cazzate che continuo a sentire raccontare da moltissimi appartenenti alla nostra categoria.
È la norma che, quando faccio una relazione ad un congresso e parlo dello “spegnimento del cervello”, nelle relazioni successive si alzino le voci dei vari professorini che, più o meno direttamente, si dicono indignati di questa cosa tenendo a precisare che nella nostra nobilissima professione il cervello deve rimanere sempre super accesso e attivo per valutare, soppesare, decidere e cazzate varie.
Il problema gigantesco del nostro sistema formativo è che ci viene spiegato (e chiesto agli esami) il ciclo di Krebs, che mai ci servirà nella vita, ma nulla ci viene detto di come funziona il cervello dell’uomo e di come si debba gestire l’errore in ambito sanitario. Con due conseguenze rilevanti:
• non sappiamo come funziona l’organo più importante del nostro corpo. Che, tra l’altro, è quello deputato alle decisioni e alla comunicazione.
• non sappiamo riconoscere, analizzare e gestire gli errori che quindi continuano a caratterizzare la nostra attività clinica e gestionale (anche se tu pensi che non sia vero, il che peggiora di molto il problema).
Una delle più gravi conseguenze del non sapere come funziona il cervello degli altri sta nel fatto che non sappiamo come comunicare efficacemente con i nostri pazienti, i nostri dipendenti e i nostri collaboratori. Ma di questo riparleremo più avanti in altri articoli.
Oggi focalizziamoci su quella che è la conseguenza del non sapere come funziona il nostro di cervello, come prende decisioni e quali sono le conseguenze di queste decisioni.
Innanzitutto, devi capire che il tuo cervello assomiglia molto più ad un muscolo che ad un computer…
Un computer può potenzialmente fare calcoli all’infinito, lavorare giorno e notte sui dati senza per questo incrementare gli errori.
Il tuo cervello, purtroppo, no!
Se ti metti a fare una corsa che supera di molto i tuoi regimi normali di allenamento (sempre che tu ti alleni) due giorni dopo farai letteralmente fatica a muoverti e, se proverai a percorrere un sentiero rischioso in montagna, avrai grandi probabilità di farti male. Questo perché i muscoli sono sovraccaricati e danneggiati dallo sforzo eccessivo e non rispondono più nel modo corretto ai comandi (oltre a fare male!!).
Il cervello funziona più o meno così con la piccola differenza che lui non corre, lui prende decisioni, una dopo l’altra, in continuazione.
Dal momento in cui scegli i calzini al mattino a quando scegli il film da guardare la sera. E ogni volta che il tuo cervello prende, o cerca di prendere, una decisione si affatica. Si chiama “decision fatigue”.
Questo fa in modo che, man mano che passano le ore, la tua capacità di prendere decisioni sensate diminuisce sempre di più e, indovina un po’, cominci a sbagliare prendendo decisioni insensate… fino a quando non avrai occasione di riposarti e magari dormire.
Chi deve correre una maratona, o un ultra-trail non si allena nei giorni precedenti perché ha bisogno che ogni cellula del suo corpo sia pronta e riposata per lo sforzo estremo del giorno dopo.
Così, chi deve prendere decisioni importanti, dalle quali spesso dipendono aspetti importanti della salute dei nostri pazienti (immagina di decidere dove bucare per un impianto zigomatico anteriore o come comportarti quando, durante un rialzo di seno, si lacera la membrana…) dovrebbe avere in quel momento il cervello super riposato e super responsivo.
Ma questo è possibile solo se il numero di decisioni prese dall’ultima volta in cui ci siamo riposati è molto basso!
Non è un caso se molte delle persone di maggior successo riducono al minimo le scelte nella propria vita, mangiando sempre le stesse cose e vestendosi sempre nello stesso modo.
Certo, nella vita privata, se vogliamo, possiamo ridurre di molto le scelte a cui sottoporre il nostro cervello, ma in 10/12 ore di lavoro, concorderai con me, questo non è così semplice.
Io credo che nel tuo studio dentistico, volendo ridurre il numero di scelte e decisioni in modo da poter essere al top quando questo serve veramente, ci siano due strade:
1) Trattare un paziente al giorno.
Questa, per quanto possa sembrare ridicola, è la strategia di molti colleghi che ho riscontrato spesso nei sondaggi che faccio su Facebook. Moltissimi dentisti utilizzano l’intera mattina, se non l’intera giornata, per un singolo caso implantare.
Come potrai immaginare, questa è una strategia che, nel mio modo di vedere le cose, è del tutto inapplicabile perché ti porta ad una sola conseguenza… rimanere schiavo del lavoro alla poltrona fino a 70 anni per poi percepire una pensione da fame!
Cioè rimanere, inutilmente, povero a vita.
2) Fare in modo di eliminare la quasi totalità delle scelte dalla nostra pratica clinica.
Questo si traduce in una cosa relativamente semplice: standardizzare il più possibile le scelte cliniche e le procedure. In modo che le decisioni non vadano prese di continuo, ma siano predeterminate da protocolli affidabili. Per dirla in altra maniera… in modo che le scelte siano automatiche.
Ed è qui che i professorini ignoranti si inalberano all’urlo di “ogni paziente e diverso dagli altri e noi dobbiamo prenderne in considerazione tutti gli aspetti!!! Insegniamo agli studenti a pensare!!! (stronzo di un Tirone che riempie le sale dei corsi mentre da noi non ci viene nessuno…)”.
Ora fammi spiegare perché mi sono permesso di scrivere IGNORANTI.
In primo luogo, l’abbiamo già detto, se passiamo la giornata a prendere decisioni, cominceremo in fretta a fare errori per “affaticamento” del nostro organo decisionale.
In secondo luogo, le nostre decisioni, anche prese di prima mattina, saranno il più delle volte una cagata pazzesca. Infatti, per istituire dei protocolli terapeutici affidabili e scientificamente supportati, serve una conoscenza della materia che non solo non è alla portata del dentista clinico come me e te ma neanche alla portata del singolo ricercatore.
Tant’è che, per scrivere protocolli e linee guida, i massimi esperti di una materia si incontrano analizzano tutta la letteratura a disposizione, la valutano, discutono e cercano di trarne delle conclusioni!
Anche i protocolli operativi, come ad esempio quello che insegniamo nel nostro corso sulla riabilitazione full arch, che sono magari atti a semplificare procedure già validate scientificamente, richiedono anni di esperienza e di ricerca continua su centinaia o migliaia di casi che, di nuovo non sono la norma per il singolo dentista.
Il fatto quindi di far credere allo studentello, o al dentista in generale, di avere le competenze, la conoscenza o l’esperienza per poter valutare e soppesare gli aspetti di ogni singolo caso nelle sue infinite specificità significa semplicemente prenderlo per il culo.
Allo studente si deve insegnare che invece di studiare il ciclo di Krebs e credere (a torto) di poter a quel punto valutare tutte le implicazioni fisio-patologiche del paziente, dovrà studiare a memoria i protocolli più aggiornati in modo da poter trattare tutti i pazienti allo stesso modo, esattamente come dice il protocollo, senza aggiungere nulla di suo: a cervello spento!
Chi siamo tu ed io per cambiare una linea guida emessa, ad esempio, dall’European Workshop on Periodontology perché magari, SECONDO NOI(!!!!)non si adatta a quello specifico paziente? Sulla base di cosa lo crediamo? Sulla base dei dieci pazienti parodontali che abbiamo trattato nell’ultimo anno??
Capisci cosa voglio dire?
In terzo luogo, infine, i professorini non sanno che l’essere umano prende le decisioni, non già con la neocorteccia, che è la parte del cervello evolutivamente più recente che è deputata al ragionamento, ma con il “cervello rettile” o sistema limbico, la parte del cervello più antica, deputata alla sopravvivenza, ai sentimenti primordiali (come la paura) e alle reazioni di combattimento o fuga.
Quest’ultima è la parte del cervello che abbiamo in comune con gli animali meno evoluti di noi.
Bene, chiunque sappia qualcosa di psicologia è a conoscenza del fatto che l’essere umano prende le decisioni con “il cervello rettile”, di solito diciamo che le prendiamo “di pancia”, per poi giustificarle a posteriori con il ragionamento.
Ecco che allora queste decisioni, tanto invocate dagli emeriti rappresentanti del mondo accademico e formativo odontoiatrico saranno prese con il cervello stanco (il che porterà ad errori e stress), con un cervello non abbastanza erudito sulle migliaia e migliaia di studi scientifici esistenti e spesso privo di una vastissima esperienza (il che porterà ad errori), con un cervello che per decidere non usa la sua parte più evoluta ma quella più rozza e primitiva, che ha come scopo principali sopravvivere, riprodursi, preservare energia, nutrirsi e stare al sicuro (il che porterà ad errori e scelte che non sono fatte nell’interesse finale del paziente).
Se quindi vuoi ridurre il più possibile gli errori nella tua pratica clinica e iniziare a vivere maggiormente senza pensieri (Hakuna Matata) e con molto meno stress devi ridurre al massimo il numero di scelte e decisioni che compi durante la giornata e questo si fa inserendo, sia nella parte clinica, sia in quella extraclinica protocolli rigidi (che possono essere ovviamente modificati e migliorati nel tempo) e check list atte a verificare che i protocolli vengano rispettati.
Ormai da una quindicina d’anni la medicina che conta, quella che salva veramente le vite, si basa su questo approccio e tende sempre di più ad escludere le scelte del singolo sanitario che, soprattutto in situazioni di stress, sarà portato a fare gravi sbagli.
La nostra Clinica di Cuneo è totalmente sorretta da protocolli e ricevere i nostri protocolli e le nostre linee guida, è la cosa che maggiormente richiedono i colleghi che seguono i nostri corsi.
Capita anche di frequente che qualcuno compri i corsi online e poi ci contatti per avere i nostri protocolli….
Ti dico già che questo è impossibile. Riceverli è una prerogativa di chi frequenta i corsi live dove ti trasmetteremo anche lo strumento più importante di tutti: la capacità di sviluppare i tuoi protocolli ritagliati sulla tua realtà di studio. Infatti il senso di questo articolo non vuole essere “lavoriamo tutti da decerebrati”, ma impegniamo il cervello per sviluppare e adattare protocolli adeguati (il che ci farà affaticare molto) per poi passare la maggior parte (non tutta ovviamente) della nostra giornata lavorativa con il cervello spento e poterlo avere bello reattivo in quelle poche situazioni che non sono prese in considerazione dai protocolli.
Ora ti lascio alle tue vacanze!
A presto,
Federico
PS. Se ti interessa approfondire questi argomenti prima che esca il best seller “Spegni ‘sto ca**o di cervello” ti consiglio di iscriverti al nostro corso DA ZERO ALL’IMPERO 2023 per quanto riguarda gli argomenti extra-clinici e al corso LA SEMPLIFICAZIONE NELLA RIABILITAZIONE FULL-ARCH SU IMPIANTI 2024 per quanto riguarda quelli implantari.
Molto interessante e da approfondire. Attenzione però, spesso non dobbiamo raggiungere l’optimum ma un buon compromesso. Prendo un sacco di multe perché eccedo di 4 km il limite dei 70km/h su strade deserte e senza creare pericolo. Essendo di formazione di Göteborg, credo comunque nei protocolli validati, ricordando una frase di J. Wennstromm: tutto quello che facciamo è sbagliato ma oggi è giusto. Carpe diem . Bravi